Esiste sulle propaggini del novarese che ancora non sono montagna al confine col biellese, una zona vitata che come minimo è di fatto un patrimonio della nostra civiltà e di tutta l’umanità. I pochi vigneti allevati ‘a maggiorina’ sopravissuti fino ad oggi sono assolutamente da vedere per portarsi a casa la conoscenza di un pezzo di cultura che ci appartiene e che ha un valore universale.
È stato un sobbalzo quando pochi mesi fa accompagnati da Christoph Kunzli sulle sue vigne a maggiorina abbiamo visto questo vigneto: a poche decine di km da casa avevamo non solo un capolavoro dell’ingegno ma anche, grazie all’ambiente incontaminato, uno dei più bei panorami vitivinicoli d’Italia, un grande vanto senza troppo esagerare. A Kunzli va il grande merito di essere stato determinante nel recupero, valorizzazione e ritorno in produzione di questa vigna, da cui arriva il vino ‘Maggiorina‘ della propria cantina Le Piane (ma per questo rimandiamo nella libreria della degustazioni), merito che va lodato poiché forse pochi altri produttori mantengono ancora i costi in agricoltura di questo sistema, con il risultato di avere un valore del prodotto/bottiglia veramente da valore aggiunto più che giustificabile: con una bottiglia di Maggiorina (rigorosamente VDT…) ti porti a casa un pezzo di storia, una memoria del passato, un valore emotivo di rara intensità e bellezza, il risultato agronomico di piante anche centenarie, oltre alla qualità intrinseca di un vino con una freschezza commovente ma con un capacità di evoluzione sorprendente.
Il metodo era stato inventato chissà quando dai contadini della zona, un tempo molto vitata; la genialità consisteva nell’ ottenere grandi produzioni per pianta con un sistema che proteggeva l’impianto dalle condizioni meteo-climatiche.
Esso prevedeva di piantare più piante al centro di un ampio quadrato ottenendo una specie di piramide capovolta sui cui quattro versanti salgono i tralci, il tutto sorretto da 8 pali pensati per reggere il peso delle piante a frutto (questo sistema fu anche studiato e migliorato dall’arch. Alessandro Antonelli progettista delle cupole di San Gaudenzio a Novara e della Mole a Torino, quando con dei calcoli matematici stabilì dimensioni, lunghezza ed inclinazione dei pali di sostegno del sistema). Se pensiamo che da questa vigna nella giornate terse si vede nettamente fino a Novara la cupola di San Gaudenzio, la simbiosi è totale, il link spazio-temporale è invisibilmente percepibile, in quella bottiglia ci trovate anche il -genius loci- del posto, la celebrazione del terroir.
Si tratta dunque di un sistema che paragonato ai moderni filari raggiunge una densità di 2000 piante per ha, esiguo e alquanto inconsueto ai nostri tempi, e che era pensato per ottenere comunque alte quantità di uva autoproteggendosi quando a quel tempo la quantità era un elemento determinante per quel tipo di agricoltura (per dare un’idea sul Etna al inizio del secolo e con l’allevamento ad alberello con moltiplicazione per propaggine di arrivava anche a 20.000 piante per ha).
Oggi la quantità non è un fattore così importante, ma lo è la qualità ben rappresentata da questo prodotto di Le Piane e ci si può concentrare su elementi di bilanciamento tra la vigoria vegetativa, produttiva e qualitativa della pianta, per ottenere un vino moderno in linea diretta con ciò che era la cultura/coltura del vino del passato. Un altro aspetto non del tutto comune del progetto (ci piace chiamarlo così, anche se il vino prodotto ha un suo nome proprio) è che, come nel passato, diverse uve concorrono alla produzione di questo vino, pratica assai comune un tempo oggi sparita: troviamo così nella vigna ‘restaurata’ la presenza contemporanea di diversi vitigni, a maggioranza Nebbiolo e Vespolina, via via con con Uva Rara fino a una decina di diverse uve tra cui udite udite anche a bacca bianca, e, cosa che ci aveva lasciato parecchio incuriositi, tutti raccolti e vinificati insieme, inutile dirlo, con lieviti autoctoni.
Se qualche anno fa ci avessero raccontato di un simile metodo avremmo pensato che era cosa da stolti, strascico del passato, una pratica per autoproduzione avventata ma considerando e valutando la Maggiornina, restiamo colpiti sia dal risultato strettamente tecnico del vino che al naso e al palato piacevolmente stupiti per il prodotto di livello in termini di equilibrio e correttezza sensoriale, elevato dalla terza dimensione del rapporto territoriale.
In conclusione finiamo raccontando della magia dei colori, una meraviglia nel periodo autunnale. In questi giorni passeggiare per vigne con questa coda d’estate è stranissimo, farlo su questo vigneto è come entrare in un quadro impressionista spennellato da colori accesi quanto magicamente variabili lungo la linea dei filari, soprattutto per effetto della decina di diverse varietà di vitigno presenti; si passa quindi dal verde delle foglie ancora resistenti, al giallo di quelle già appassite, con in mezzo una varietà di rossi dal più acceso, al rosa, al granato fino al viola scuro, ma il colore più incredibile è il bianco di una vite a bacca bianca le cui foglie appassiscono con questa tonalità unica e quasi paradossale. Il gioco della luce bassa del tramonto è una cromoterapia rilassante, stimolante di buoni pensieri e pace, vita slow.
Non troppo slow, ripasseremo presto da Le Piane, questa sera dobbiamo assolutamente avere in tavola una Maggiorina!
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